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martedì 18 ottobre 2011

Speciale #1 - Claymore ed il tema della sessualità nell'opera

Nota: l'articolo in questione fu pubblicato qualche tempo fa sulla pagina Claymorefan.org. Essendo questo articolo originariamente pensato per il sito in questione (pur non essendo mio), incito tutti gli appassionati dell'opera di yagi ad andare perlomeno a fare una visita ad esso ^^ Claymorefan.org, la migliore risorsa italiana per gli appassionati di claymore!


Devo ammetterlo, decidere di esporre un’analisi sulla tematica della sessualità nel mondo di un manga come claymore da una sensazione abbastanza anomala, in primis avendo presente il soggetto stesso di cui stiamo parlando, ovvero un’opera che a differenza di larga parte degli altri esponenti del suo genere, compie la scelta di puntare su uno stile elegante e raffinato, di per sé poco avvezzo ad inutili eccessi.
Se infatti da una parte l’autore, ricadendo in uno dei topoi più classici nell’universo manga/anime, sin dai primi capitoli dell’opera propone agli occhi del lettore un’invidiabile varietà di bellezze guerreggianti, d’altra parte è innegabile come siano per una volta gli stessi abiti in cui esse appaiono a recludere inaspettatamente la loro femminilità, quasi impossibile da scorgere oltre quella ormai nota patina di bianco ed aderente tessuto.
Nulla di cui parlare dunque? Vediamolo andando a spulciare due macroaree dell’opera.




L’abbigliamento: un’evoluzione stilistica di ampio respiro dal casto al provocante.
Come già accennato nell’introduzione, una forse delle prime caratteristiche che balza all’occhio del lettore immergendosi nel mondo di Claymore è senz’altro la scelta di Yagi di “celare” per gran parte dei primi volumi i corpi delle protagoniste sotto una divisa integrale, lasciando scoperto null’altro che il profilo stesso delle loro curve, quasi a voler sottolineare la ferma volontà dell’organizzazione di negare loro per quanto possibile, una delle ultime cose che le lega ancora alle loro origini umane: l’aspetto.
Molto interessante in questa prima fase della storia, è distinguere tuttavia due macroparentesi: la prima in occasione del ciclo di Rabona, dove Claire, assumendo il farmaco inibitore e rinunciando a parte dei suoi poteri di mezzo-yoma per poter agire in incognito, sfoggia un provocante completino nero a pezzo unico, per certi versi precursore allo stile che verrà adottato da alcuni personaggi nel post-Pieta; la seconda con il ritorno di Irene nella saga di Ophelia, dove l’ex numero due, ormai abbandonati i ranghi dell’ organizzazione, indossa un abito costituito da un complessa composizione di cinghie e placche attorno ad un corpetto principale e lasciando scoperta la parte inferiore del corpo. 
Una semplice casualità che a tali fasi di momentaneo allontanamento dal mondo dell’organizzazione sia stata associata sul versante estetico una scelta di abiti del tutto antitetici rispetto ai precedenti? Forse, ma è quantomeno mia opinione che tale scelta sia stata operata alla luce di un simbolismo del tutto consapevole, soprattutto tenendo conto di come nella seconda parte della storia, con l’affermarsi sulla scena di un sempre maggior numero di personaggi legati al tradimento dell’organizzazione, l’autore dia pieno respiro alla sua creatività in tal senso.
In primis ne sono un esempio i nuovi abiti che le sette ribelli del nord sfoggiano, i quali, con le dovute varianti, risultano seguire uno stile innegabilmente ben più femminile, caratterizzato, oltre che da spacchi, minigonne e reggicalze, da un color nero opaco che di certo non manca mai di far pensare alla pelle di alcuni indumenti un po’ più “spinti”.
Di tutt’altro effetto, ma egualmente ammiccante alle molteplici fantasie dei maschietti, è invece la scelta di ripresentare dopo la sua scomparsa dalle scene per poco più di due volumi, una Galatea in abiti monastici, per di più dandole modo di esibirsi in un combattimento all’ultimo sangue contro una risvegliata (tra l’altro, da notare in tal senso il vero tocco di classe compiuto dalla guerriera, la quale per muoversi meglio decide di dotare il suo già provocante vestito di uno spacco, strappandosi la gonna… insomma, roba di un certo livello).
Concludendo il discorso nell’ambito dell’espressione simbolica della sessualità nei vestiti, è infine assolutamente impossibile non citare l’elemento che forse più di tutti gli altri palesa l’interessamento di Yagi in tal senso, ovvero le molteplici illustrazioni di ragazze presenti nelle sottocoperte della versione giapponese del manga. Tali disegni, in Italia disponibili solo all’interno del Memorabilia, sebbene in sostanza del tutto lontani dal mondo in cui è ambientato il manga di Claymore (di norma per ogni sottocoperta vi è un soggetto riferito al manga ed uno al contrario completamente distaccato da esso), sono infatti una vera e propria vetrina per la costante declinazione, attraverso tutta una serie di soluzioni visivamente molto particolari, del dualismo tra uno stile ai margini del sadomaso e la demarcazione della forza delle donne guerriere ivi rappresentate.

La bestialità come conseguenza della pulsione sessuale
Se sul lato estetico ci siamo trovati a parlare della tematica sessuale alla luce di somiglianze più o meno apprezzabili (al limite della speculazione lo ammetto), ben diverso è il discorso sulla componente “paranormale” (mi si passi il termine, sebbene forse non sia il più appropriato) dell’opera, un vero e proprio fulcro di simbolismi e riferimenti. Primo tra tutti è proprio il “battesimo del fuoco” a cui le ragazze scelte dall’organizzazione sono sottoposte, un processo doloroso ed invasivo che, violando e distruggendo gli ultimi barlumi della loro purezza adolescenziale, le catapulta spietatamente in una realtà dominata dall’insorgere di pulsioni sessuali via via sempre più forti (addirittura viene spiegato nel manga, che il motivo per cui non vengono impiegati degli uomini per l’innesto è che questi ultimi non riescono a contenere tale stimolo).
Gradino successivo a tale parallelismo tra disumanizzazione ed accentuarsi delle pulsioni sessuali, è il cosiddetto stato di “risveglio”, nel quale le claymore si trovano a sorpassare ogni sorta di razionale inibizione posta dalla loro stessa volontà. Non è un caso a tal proposito che quando ci riferiamo a creature derivanti da tale processo, parliamo nella sostanza di esseri capaci di deformare il proprio corpo all’istante secondo desiderio, come si trattasse esso stesso della perfetta rappresentazione di un qualcosa che non ha più limiti, che si interfaccia in modo diretto con la volontà che lo domina.
Ma i risvegliati, al di là del simbolismo che le loro possibilità combattive rappresentano, spesso sono anche un veicolo visivo del tema sessuale. Non è un mistero difatti che, una delle principali fonti di ispirazione artistica per Yagi nella realizzazione di tali mostri sia da individuarsi nientemeno che nelle opere di H.R. Giger (creatore tra le tante cose del design originale degli Aliens presenti nelle pellicole di R. Scott e J. Cameron, creature queste che trovano un evidente tributo nella forma risvegliata di Rosemary, molto simile ad una Regina aliena), autore nel quale la tematica sessuale è sistematica quanto a volte ossessiva ed inquietante. Se da una parte però per gran parte della trama vi è una rappresentazione tutto sommato feroce della pulsione sessuale, è importante notare come in alcuni casi Yagi propenda per una soluzione del tutto opposta: ne sono un esempio lampante i risvegliati di Agata ed Ophelia, mostri nei quali la presenza di un’appendice dall’aspetto umano, consente all’autore nell’atto di interazione con protagonisti e comprimari, di curare tutta una serie di atteggiamenti e pose (ad esempio si guardi al giacere su di un lato da parte di Agata, immagine che richiama alla mente le rappresentazioni scultoree di alcune Veneri) altrimenti impossibili da rappresentare.


Che dire, spero di non avervi annoiato, ma anzi trasmesso almeno un briciolo di curiosità sulla questione. E voi che ne pensate? Avete scorto altri elementi di Claymore in cui è possibile rintracciare qualche tematica legata alla sessualità?


Concludo il post, riportando una mia risposta (per completezza a quanto espresso da me nello speciale) alla domanda "Visto che comunque tutto ruota intorno al quella piccola speranza di rimanere umani, quando si diventa bestie, nel momento del risveglio - seguendo il tuo ragionamento - è la pulsione sessuale che ha il sopravvento, ma a questo punto, non viene visto in chiave negativa?"

Una mia ipotesi è che la risposta a questo interrogativo sia da individuarsi nella mentalità in ambito sociale dell'autore (ma qui, se già nell'articolo eravamo in ambito speculativo, siamo addirittura un gradino più in là).
Da quanto ne so, è cultura diffusa in giappone imprimere nei propri figli una certa moderazione ed educazione (tant'è che vi sono molti lì che non vedono di buon'occhio persino dei "prodotti locali" come gli anime), quindi questo potrebbe essersi in qualche modo riflesso nel messaggio della storia: il completo abbandonarsi alla pulsione sessuale è qualcosa di piacevole per l'individuo (in quanto soddisfa il proprio egoismo, rompe le regole imposte dalla società, ecc), ma da non abbracciare in nome del bene comune (nello specifico continuare a rimanere con la propria volontà ed usare il potere dello yoki per aiutare le persone, evitando di scatenare altra devastazione con un risveglio).

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